ACQUA, GARANTIAMO QUESTO DIRITTO?

A distanza di quattro anni dal riconoscimento ONU (luglio 2010) il diritto all’acqua rimane un’affermazione priva di concretizzazione da parte degli Stati e della comunità internazionale. Per questo il convegno, promosso dal Comitato Italiano Contratto Mondiale sull’acqua, con il patrocinio del Comune di Milano e di Expo dei Popoli, e realizzato a Milano il 22 marzo scorso in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua si proponeva di lanciare alcune proposte e stimolare il dibattito  rispetto alla definizione dei nuovi Obiettivi post 2015. Nelle loro relazioni introduttive Emilio Molinari e Rosario Lembo, rispettivamente ex Presidente e Presidente attuale del Comitato Italiano Contratto Mondiale sull’acqua (CICMA) hanno opportunamente ricordato che se tutt’oggi il diritto all’acqua non è garantito, nonostante i pronunciamenti da parte dell’Assemblea delle Nazioni Unite, ciò è dovuto anche alla natura giuridica delle risoluzioni che non sono di per sé giuridicamente vincolanti e costituiscono solo prese di posizione dell’organo che le ha adottate. Infatti, i pronunciamenti dell’Assemblea delle Nazioni Unite esprimono infatti un consenso generale da parte degli Stati che stimola i Governi affinché, attraverso l’adozione di politiche pubbliche e normative “interne” adeguate, garantiscano il diritto all’acqua, tuttavia si tratta di strumenti di “soft law” che non vincolano gli Stati. Le Comunità latino-americane, che hanno conosciuto i processi di accaparramento e sfruttamento delle risorse idriche e le conseguenze dei processi di privatizzazione, sono state le principali promotrici, dopo il riconoscimento del diritto umano, a sollecitare in primis nei confronti dei rispettivi governi il riconoscimento dei “ diritti della natura” cioè di Madre Terra. In questo contesto il “diritto dell’acqua”, fonte di vita, è una risorsa eco-sistemica da salvaguardare e difendere al pari dei diritti umani, sia da parte della comunità internazionale che della stessa Assemblea delle Nazioni Unite. Con il contributo di diversi docenti e di rappresentanti di paesi che hanno già inserito nelle loro costituzioni il diritto all’acqua, il convegno ha identificato nella redazione di un “Protocollo mondiale sull’acqua come diritto umano integrativo al patto dei diritti umani a contenuto economico, sociale e culturale” un possibile percorso per la concretizzazione del diritto all’acqua. Rispetto all’opportunità di dar vita ad una Autorità Mondiale dell’Acqua presso le Nazioni Unite, quale organo autonomo di governo e di sanzione, è stata condivisa l’urgenza di attivare un’Istituzione che abbia questi poteri ma nel contempo si è convenuto sulla necessità di approfondire l’individuazione di un percorso praticabile. In questa logica, sono stati molto interessanti i contributi dei successivi relatori. Innanzitutto, il prof. Scovazzi, professore di Diritto Internazionale dell’Università Bocconi ha detto che la via dell’Autorità mondiale deve essere l’obiettivo a cui tendere, ma che nell’immediato si può partire dalla stipulazione di un Trattato che specifichi, entri nella definizione concreta di che cosa significhi il diritto all’acqua. Infatti, in realtà, quello all’acqua è un diritto che è implicito, presente in altri diritti, ad esempio di quello al lavoro, alla salute, alla vita, all’alimentazione, ecc., ma è ora di sancire il diritto all’acqua in sé, un diritto individuale, del singolo. Il diritto all’acqua significa: a) diritto a una quantità adeguata, b) accessibilità fisica: in molti villaggi africani la gente percorre chilometri per andare a prendere l’acqua, c) accessibilità economica: l’acqua deve essere distribuita a un prezzo accessibile a tutti, non solo a certe categorie di persone, d) obbligo al rispetto dell’acqua anche in guerra: i depositi di acqua non devono essere bombardi nei conflitti, e) assicurare le infrastrutture necessarie per la sua distribuzione. Oltre alla strada dei diritti umani, si può percorrere quella dei Trattati. Per questo è necessario avere l’adesione di più stati possibili, naturalmente bisognerebbe partire dall’adesione dello stato più vicino, l’Italia e poi coinvolgere gli stati europei, quindi gli stati dell’America latina che sono molto sensibili all’argomento. L’Expo può essere l’occasione per affermare questo diritto e far firmare un trattato sull’acqua. Questa, viceversa, è una grande occasione per la grande esposizione di Milano, per non degenerare in una fiera della gastronomia, ma per tornare al suo reale spirito che è quello dei diritti universali. Perché un diritto sia affermato è necessario garantire anche la sua giustiziabilità, ossia, come ha spiegato C. Pividori, Junior Researcher dell’Università di Padova, l’individuo dispone di diversi strumenti se vuole chiedere un accertamento della violazione del diritto all’acqua da parte dell’autorità statale. Innanzitutto, ogni stato ha degli obblighi nei confronti delle persone: a) rispetto, ossia astenersi dall’impedire l’accesso alle fonti e ai depositi di acqua (come fa lo stato di Israele nei confronti dei cittadini palestinesi erigendo barriere); b) proteggere i suoi cittadini: in India, lo stato ha potuto bloccare l’ingresso alle fonti della Coca Cola che, pur avendo un titolo di regolare accesso ad un certo territorio, estraeva un quantitativo di acqua talmente elevato da privare gli abitanti della stessa zona dell’acqua da bere; c) garantire il minimo vitale alle persone. Ad esempio in Argentina è stata fatta una legge che, obbliga lo stato, in caso di calamità, a garantire 200 litri d’acqua al giorno alle persone e a ripristinare l’accesso all’acqua entro 45 giorni dal disastro. Anche A. Postiglione, Vice Presidente Forum UE Giudici per l’ambiente ha ribadito che la via per affermare il diritto all’acqua è quello dei diritti umani. La via dei diritti umani aiuta a difendere anche quella dei diritti dei beni comuni universali (pace, sviluppo e ambiente). Il problema vero è come realizzare una giustizia internazionale vera per i beni comuni universali ed insieme come assicurare la gestione complessiva di questi beni. Molto intense sono state le due esperienze di difesa e concretizzazione del diritto umano dell’acqua come bene comune, portate alla fine del Convegno. Nella prima, D, Garcia, Sottosegretario del Ministero dell’Ambiente dell’Ecuador ha raccontato di quale percorso ha permesso ai suoi connazionali di inserire nella nuova costituzione, approvata nel 2008, il diritto all’acqua. E’, infatti, una delle poche costituzioni che afferma che “il diritto dell’acqua è un diritto nazionale, strategico” e vieta la privatizzazione dell’acqua. Si è trattato di un lungo percorso sia nel tempo che geograficamente: nel tempo, perché è il risultato di un attivismo pluridecennale, partito dagli ultimi anni del secolo scorso come risposta ai principi neo-liberali, di privatizzazione. Geograficamente ha coinvolto molti stati dell’America latina, non a caso ben tre stati fanno esplicitamente riferimento al diritto all’acqua: Uruguay, Bolivia e, ovviamente, l’Ecuador. Tuttavia, Garcia ha espresso il suo rammarico perché ancora questi principi costituzionali non si sono trasformati in vere e proprie leggi sull’acqua. L’esperienza del Ghana, invece, portata da Ernest Tay Awoosah, Direttore Isodec e fondatore Coalizione Nazionale contro la privatizzazione, ha sottolineato l’importanza della mobilitazione generale, delle alleanze tra associazioni, istituzioni, anche quelle religiose, che ha permesso nel suo paese, di evitare la privatizzazione dell’acqua, decisa unilateralmente dal Governo.