LEA GAROFALO, UNA STORIA PER UN CAMMINO

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Lea Garofalo nasce nel 1974 a Petilia Policastro, in Calabria. Lea nasce e cresce in una realtà ‘ndranghetista e, stufa di quello che vede ogni giorno, decide di andarsene. L’occasione le è data da Carlo Cosco, suo compaesano, di cui si innamora e con cui scappa a Milano. Arrivata nel grande nord si rende conto che la realtà è sempre la stessa. Carlo Cosco è anche lui una figura di spicco della ‘ndrangheta e smercia cocaina, avendo come base una palazzina di Viale Montello, nel pieno centro di Milano. Lea a 17 anni rimane incinta, e decide che sua figlia dovrà avere la possibilità di vivere una vita diversa e migliore della sua. Decide quindi nel 2002, all’età di 28 anni, di andarsene da quella casa e di denunciare tutto quello che ha visto e sentito in quei lunghi anni milanesi.

L’“onore” di Carlo Cosco è ora infangato, da quella moglie che non segue fedelmente il marito ma che ha avuto il coraggio di alzare la testa e ribellarsi. Inizia per lei una vita di inferno. Gli anni tra il 2002 e il 2009 sono per Lea un continuo spostarsi di città in città, per cercare di sfuggire al padre di sua figlia, che la vuole morta. Entra nel programma di protezione dello Stato, poi viene espulsa, poi vi rientra. Lo Stato però non è stato in grado, e non è in grado tutt’ora, di dare una giusta protezione a lei e ai tanti altri testimoni di giustizia, fatti vivere in un limbo per anni, lasciati senza documenti, senza la possibilità di vivere una vita normale, senza poter iscrivere i propri figli a scuola o aprire un conto in banca. Lea decide quindi definitivamente di uscire dal programma di protezione. Nel frattempo Carlo Cosco riesce a riavvicinarsi alla ex compagna e si avvicina sempre di più il fatidico incontro di Milano. Il 24 novembre 2009 Lea viene convinta da Carlo a salire a Milano con la figlia, per parlare del suo futuro. Denise viene allontanata dalla madre e portata da dei parenti del padre. Carlo, insieme a suoi uomini, porta Lea in un appartamento e lì la uccide, picchiandola e strangolandola, vendicandosi per il presunto “onore” della ‘ndrangheta da lei infangato. Il corpo viene poi portato in un magazzino a Monza, bruciato fino a rimanere solo ossa, e buttato in un tombino. A Denise viene fatto credere che la mamma sia partita per l’Australia e lei è costretta a tornare al sud con il padre. Denise però porta avanti il coraggio della madre e denuncia tutto alle forze dell’ordine. Grazie a un primo processo e ad un ulteriore processo di appello, lei e tutti noi siamo riusciti a sapere la verità sulla morte di Lea e ad avere giustizia. Carlo Cosco e i suoi complici stanno scontando l’ergastolo.

Perché vi raccontiamo questa storia? Perché abbiamo deciso di tenerla viva e di farla conoscere, fondando un Presidio a suo nome: il Presidio Lea Garofalo di “LIBERA. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”. Ogni anno, da ormai 3 anni, un gruppo di ragazzi ha deciso di conoscere a fondo questa storia e di non lasciare sola Denise a nessuna udienza dei processi. Eravamo sempre lì a farle sapere che ci siamo, che può contare su di noi, colpiti dall’immensa forza di Denise, nostra coetanea. Il Presidio anche dopo i processi continua ad incontrarsi, ogni giovedì sera, in Via Conte Rosso, presso le ACLI di Lambrate. Ci formiamo su vari temi che interessano il gruppo; ogni anno organizziamo il 24 novembre per ricordare Lea; il 19 ottobre, data del funerale di Lea, abbiamo inaugurato un giardino dedicandolo a lei, proprio di fronte a dove abitavano i Cosco, per lanciare un forte segnale di riappropriazione del territorio; organizziamo incontri pubblici di formazione per la cittadinanza, per invitare ad essere cittadini attivi, a vivere profondamente e consapevolmente la città. Nei prossimi mesi abbiamo in progetto un nuovo lavoro sul tema del gioco d’azzardo, per scoprire come la mafia si inserisce in questo mercato che sta ormai colonizzando le nostre città. Qualsiasi cittadino può fare caso a quante slot machines sono apparse nei bar, a quante sale videolottery spuntano come funghi nelle nostre vie, a quante persone entrano nelle sale bingo, separate completamente dalla realtà esterna perché dotate di vetri non trasparenti. Noi, invece di non guardare cosa succedeva dentro quei luoghi, abbiamo deciso di indagare e di capirne di più.

Ognuno di noi può farlo. Basta fare attenzione e vedere se il bar dove si va a bere il caffè ha scelto di non installare slot machines. Basta coltivare un po’ di consapevolezza e responsabilità.


Irene Latuati
Presidio Lea Garofalo pres.giovanimi@libera.it