MARTINI E LA CITTA’, l’intervista a don Franco Brovelli

il Card. Martini e don Franco Brovelli

il Card. Martini e don Franco Brovelli

Questa Domenica 21 Febbraio, alle ore 12.30, l’attuale “Via dell’Arcivescovado” diventerà “Via Carlo Maria Martini”, per una decisione presa mesi fa dal consiglio comunale. E’ significativo che sia un tratto di strada, spazio di incontri e cammmini, e non uno spazio come un auditorium o un teatro ad essere dedicato a questo padre della città.
Abbiamo incontrato don Franco Brovelli, che ha condiviso quasi tutto il lungo tratto di strada dell’episcopato di Martini a Milano come suo stretto collaboratore nella responsabilità di accompagnare prima i giovani preti e poi, dal 1995, come vicario episcopale della formazione permanente del clero.

Quale era il rapporto tra Martini e la città?

Credo che la cosa più bella fosse che l’icona del suo ingresso era già un preludio significativo: lui veniva a piedi percorrendo un tratto del cuore della città in una giornata fredda e aveva solo il Vangelo in mano. Ecco questo per me è riuscito non tanto per ricordare la singolarità di questo ingresso umile ma denso ma perché Martini l’ha abitata la città. L’ha abitata nel senso vero della parola, ha abitato il cuore pulsante della città, le sue attese, i suoi drammi, le sue sofferenze e i suoi valori li ha abitati e li ha attraversati e nella misura in cui ne veniva a conoscenza desiderava sempre dare il suo contributo di un uomo profondamente legato al Vangelo.

Quali i ricordi più particolari?

Ricordo alcuni momenti che hanno toccato la città e di fatto a distanza -a volte presente a volte a distanza di pochissimo tempo-, ho visto la sua percezione, il suo volto, che erano sufficientemente eloquenti. L’uccisione del giudice Galli, ad esempio. La reazione quando gli è stata comunicata la morte di Bachelet, ero vicino a lui durante un’incontro in Cattolica. Le vittime di Linate. In lui vi era la consapevolezza di come prendeva parte alla città, sentendosene parte, da pastore. Ha amato la città e la città ha amato lui. Ha amato la città anzitutto regalando il Duomo, restituendolo come casa di preghiera alla città. Un risvolto laico della Scuola della Parola è che il Duomo era tornato casa di preghiera e perlopiù la preghiera dei giovani. Ricordo che in alcuni voci laiche di giornali e giornalisti individuavano questo come elemento davvero innovatore. Certo lui ci metteva la ricchezza della sua profondità, ma anzitutto vi era questo dono di un Duomo importante non tanto come spazio di valori artistici o spazio per sepolture illustri, ma come casa della preghiera.

Come vicario episcopale per il clero ci puoi dire quali indicazioni dedicava Martini ai suoi pastori perché il loro fosse un ministero incarnato “nella città” e non solo tra le comunità cristiane?

La sua era una predicazione della Parola del Signore da condividere con la città e nella città, in tutti i suoi dinamismi. In questo senso la sua predicazione non era mai decontestualizzata, ti accorgevi che era radicata nella polis. L’invito ai preti partiva prima dall’esperienza sua piuttosto che da un “vi raccomando di…” anche perché non era il tipo da “vi raccomando di…”. Ponendosi così, abbiamo imparato tutti anche perché lasciava libertà a ciascuno ma il clima, il “codice interpretativo” per vivere una comunicazione della fede del Signore era questo. Questo lo sento molto importante per me, per i preti, ma non solo. Penso a quando ad un certo punto del suo cammino ha parlato alle comunità cristiane dicendo l’importanza di divenire comunità alternative non nelle forme politiche ma nelle ricchezze di vangelo. Ecco questo è un amore alla città di livello davvero alto. La ami talmente tanto che le vuoi regalare la cosa più bella della tua vita, che è il Vangelo.