RAPPORTO SULLA CITTA’ 2013: I TRENTENNI, UNA RISORSA

Dal 1990 la fondazione Ambrosianeum pubblica il Rapporto sulla città, un punto di riferimento per gli studiosi, le istituzioni, la stampa, le associazioni e i cittadini che vogliono avere uno sguardo concreto sulla realtà meneghina. Una “Milano vista da Milano” attraverso un analisi che mette in relazione la concretezza dei dati con il loro significato più profondo: le condizioni sociali, economiche e culturali. Abbiamo chiesto alla sociologa Rosangela Lodigiani, curatrice del Rapporto, di raccontarci i contenuti fondamentali del Rapporto 2013 dal titolo “I trentenni in cerca d’autore”.

Dottoressa Lodigiani, lei ha scritto che i 30enni sono “dimenticati in quanto non più portatori di una propria specificità o indebitamente accomunati ad altri, il risultato non cambia: è il misconoscimento delle loro risorse, bisogni, aspettative”… chi è il 30 enne?
Non è facile tracciare un identikit. Quella che va dai trenta ai quarant’anni è una generazione eterogenea in quanto abbraccia una fascia di età tipicamente densa di quei cambiamenti che conducono al pieno ingresso nella vita adulta: terminare gli studi, trovare un lavoro stabile, andare a vivere per conto proprio, costruire una famiglia… Ma i tempi e l’ordine in cui questi cambiamenti avvengono sono oggi sempre più diversificati e delineano corsi di vita individualizzati, unici. E’ una generazione fatta di “più generazioni”, nelle quali la percezione di condividere una appartenenza è determinata soprattutto dalla fase biografica attraversata: avere o non avere figli, averli piccoli o già adolescenti, avere un lavoro, essere in cerca di impiego o averne uno precario, vivere ancora con i genitori, da soli, o in forme di coabitazione, essere sposati, e via dicendo.

Perché i 30enni sono così poco considerati?

Per almeno due ragioni. Anzitutto per una ragione che possiamo definire culturale. Descritti attraverso stereotipi negativi (ricordiamo “bamboccioni” o “generazione perduta”,…) oppure semplicemente estendendo in modo improprio la categoria dei giovani, si perde di vista che i trentenni hanno aspettative e caratteristiche specifiche di chi è in una fase più matura della vita. In secondo luogo per una ragione strettamente demografica, che si riflette sull’accesso alle misure e alle politiche locali. Esistono politiche sociali, lavorative, di sostegno del reddito, abitative per lo più rivolte a persone con meno di 30 anni, in qualche caso con meno 35 anni e poi non c’è sostanzialmente più nulla se non per quanti hanno più di 45 anni. Ciò crea un gap intermedio che lascia senza supporto chi – non eleggibile alle misure per ragioni d’età – si trova comunque in una situazione/transizione biografica critica. Per il senso comune sono ancora giovani, per le politiche no, e danno per scontato che ormai abbiano raggiunto indipendenza, realizzazione lavorativa e personale. Questo gap va ripensato con politiche mirate, un po’ come è accaduto a Milano con le misure anticrisi, che non a caso hanno intercettato molti “adulti giovani” alle soglie dei quarant’anni.
L’introduzione del Rapporto s’ intitola “Il futuro nel quotidiano” e Lei ha spiegato di aver preso questa espressione dal titolo di un recente libro dei sociologi De Leonardis e Deriu.
Può spiegarci il senso di questa espressione? La crisi economica e sociale induce a non guardare la futuro con speranza soprattutto è difficile pensare a un lungo periodo, a progettare, ad avere “sogni” sulla propria vita. Sembra ci sia poco da “sognare” ma solo una cruda realtà con cui scontrarsi ogni giorno alla ricerca di un lavoro dignitoso e di una vita serena…
L’espressione “il futuro nel quotidiano” è a mio avviso carica di realismo e di speranza insieme. Dice di come il futuro si costruisce nel presente, giorno per giorno, facendosi largo nella complessità della quotidianità. Dietro a quelle parole c’è il riferimento al modo in cui l’antropologo indiano Arjun Appadurai definisce la “capacità di aspirare”, ovvero la capacità delle persone di partecipare a quest’opera di costruzione che riguarda la loro vita ma anche la società in cui vivono. Non si tratta infatti di un attributo solamente individuale, ma di una capacità  che si forma e si sviluppa a partire dalle condizioni del contesto in cui si vive, dalla cultura che lo caratterizza e che contribuisce a forgiarlo. Coltivare questa capacità è dunque da vedersi come responsabilità condivisa.

Milano: città che attrae e città che respinge… che tipo di relazione la città instaura con i trentenni?
È una relazione ambivalente: Milano è proprio una città che per un verso attrae e per un altro sembra respingere. Polo attrattore e propulsore insieme. A raccontarlo sono le testimonianze dei trentenni che nelle interviste realizzate lavorando al Rapporto 2013, sono stati chiamati a riflettere sulle forme e le difficoltà della socialità e dell’abitare a Milano. Dalle loro parole è una che città che vorrebbero lasciare in quanto ostica, costosa, caotica, inquinata, chiusa ma anche fonte di identificazione, riconoscimento, appartenenza, oltre che di opportunità, nonostante non sia facile trovare i luoghi e gli spazi in cui realizzare con altri il proprio desiderio di condivisione, radicamento e socializzazione.

E con i lavoratori immigrati?
Il discorso da fare sarebbe molto articolato. Il Rapporto però ha messo a fuoco un aspetto in particolare, osservando il mercato del lavoro. I trentenni stranieri sono più esposti dei coetanei autoctoni alla disoccupazione e al lavoro irregolare, all’espulsione dal mercato in fase di recessione, ma sono in termini relativi più rappresentati nel lavoro autonomo e imprenditoriale. Le imprese  individuali straniere presentano una migliore capacità di tenuta rispetto a quelle italiane, specie nei settori più etnicizzati, ad elevata intensità di lavoro e a basso contenuto tecnologico. È un fenomeno interessante che presenta chiaroscuri, che va letto più in profondità per comprenderne meglio le dinamiche. Anche questo evidenzia le contraddizioni e le ambivalenze della città.

Da una crisi “globale” si “esce insieme” sostengono da tempo economisti e non solo. Anche il cardinale Scola richiama spesso il valore dell’essere un “noi” non solo come cristiani “della chiesa” ma soprattutto per essere cristiani “nella città”. Non crede che Milano e in particolare le nuove generazioni debbano riscoprirsi più uniti, più una comunità ricca di differenze ma con una grande identità non solo “storica” ma “viva” nelle attese e nel cammino delle sfide di questo tempo così particolare?
Sono d’accordo. Alle giovani generazioni, diverse l’una dall’altra e a loro volta diversificate al loro interno sotto molteplici punti di vista, spetta di trovarsi unite nel riconoscersi e diventare protagoniste della città.
A loro il compito di “edificarla”, sfuggendo a ripiegamenti individualistici, come proprio il Cardinale Scola scrive nel capitolo che chiude il Rapporto 2013. Nei trentenni si rintracciano sentimenti di scoraggiamento, sfiducia e disinvestimento, ma non mancano slancio e impegno sociale, solidarietà, capacità di aggregazione e partecipazione attiva: un capitale da riconoscere e coltivare.