SE SI CENSURA LA RETE

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La comunicazione one-way che ci aggrediva sprofondati sui divani è ormai cosa vecchia, è chiaro. A cercare informazione su Internet si scopre che il mondo pulsa e reagisce, e che non a tutti basta stare dietro degli schermi che parlan di politica e cucina. Gli scioperi di massa in Corea del Sud contro i piani di privatizzazione imposti dallo stato, le proteste in Brasile contro gli investimenti esagerati per i mondiali di calcio a scapito delle spese per la sanità, la reazione del popolo australiano contro gli attacchi alle persone che cercavano asilo a Manus Island, la movimentazione francese di Nantes contro la costruzione del nuovo aeroporto Our Lady, le proteste bosniache a Mostar contro un governo nazionalista inefficiente e corrotto, l’agitazione russa contro la condanna di 8 contestatori del presidente Putin. Le grande istituzioni stanno scomode. E’ sempre più evidente la tendenza verso un nuovo modello di organizzazione sociale, più vicino alle persone (si veda l’articolo Le Smart Cities e la Nuova Organizzazione Sociale.)

Un caso particolarmente interessante, che permette di leggere e comprendere un evidente filo comune ai vari fenomeni descritti, è quello turco.

L’accesso a Internet in Turchia è già molto ristretto e migliaia di siti web sono bloccati. L’agenzia di stampa indipendente Bianet stima che, solo nel 2011, sono stati bloccati 110.000 siti web, mentre Google ha riferito che le richieste turche per rimuovere i contenuti dal web è aumentato di circa il 1000% l’anno scorso.

Tre settimane fa veniva approvata una nuova legge per la censura dei contenuti Internet. Principalmente, la legge permetterà all’autorità centralizzata di telecomunicazioni, la Turk Telecom, di bloccare siti e censurare qualsiasi contenuto internet senza una previa sentenza giudiziaria. Inoltre la legge costringerà gli Internet Service Providers a mantenere traccia delle attività degli utenti su web per due anni e renderle disponibili alle autorità quando richiesto, senza notificare gli utenti. Commentando la nuova legge, il presidente Erdogan ha apertamente criticato l’utilizzo di Internet, chiamando twitter un “flagello” e condannando i social media come “la peggior minaccia alla società”. In questo senso è da ricordare l’utilizzo intensivo di Facebook e Twitter per esigenze di coordinamento e di informazione durante le proteste di Gezi Park l’estate scorsa a Istanbul.

Ultimamente, il 20 febbraio, è stata richiesta una condanna di 3 anni in carcere per 29 persone detenute durante le proteste a Smirne, con l’accusa di incitare alla rivolta via Twitter. Nella richiesta si citava il primo ministro Erdogan come unica vittima.

Da dove viene questo terrore del Web? E’ la rete che spaventa. Non si censura più il sesso, si censura il nesso. La possibilità delle persone di comunicare e creare realtà sociali autonome stabili e durature. C’è una nuova società che tutto il mondo sta cercando di ottenere, convinto che la struttura gerarchica centralizzata dello stato sia molto più utopistica di un mondo alla pari, dove gli uomini aiutano i loro vicini. Cooperazione, collaborazione, cocreazione al servizio della naturale e spontanea volontà delle persone di migliorare sé stessi, i propri vicini, il proprio territorio. Non un ritorno ad una civiltà primitiva, fatta di piccoli paesi lontani e separati, ma una una rete di piccole comunità autonome ma interconnesse a livello mondiale. Non c’è più uno stato al servizio dei cittadini, né cittadini al servizio dello stato, ma persone al servizio di persone.

Internet si pone come principale strumento per l’effettiva realizzazione di questa nuovo mondo, come primo strumento di connessione e coordinamento. Ed è per questo che lo si teme. Ma la gente non ci sta più. Le proteste in piazza in Turchia sono ormai all’ordine del giorno. Tenetevi pronti perché stiamo assistendo a qualcosa di grosso.